Follia Pura è l’abbandono dei Folli
Righe d’Architettura come fossero Scatti fotografici.
Qual è il limite oltre il quale si è abbastanza SAGGI per essere diversi e abbastanza FOLLI per difendersi dal diverso?…..Non c’è confine, talvolta, se non un filo sottile di sensibilità che guidi e protegga lo spazio piu’ prezioso, fragile e segreto: l’interiorità…
…ed è in quello spazio che si puo’ trovare la dimensione dell’ordine delle cose perdendone i nessi, tra ritmi incostanti, asimmetrie e colori sfuocati….(s.c.)
Foto di Yvonne De Rosa dal progetto “Crazy God”
<<Allora il trionfo della follia si annuncia di nuovo in un doppio ritorno: in un riflusso della sragione verso la ragione che non afferma la propria certezza se non in un possesso della follia; e in una risalita verso un’esperienza in cui l’una e l’altra si implicano indefinitamente: “non essere folle significherebbe esserlo solo secondo un’altra forma di follia...”>>.
Foucault Michel, 1976, Storia della follia nell’età classica, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, pag. 287.
<<Se i folli avviliscono coloro ai quali si ha l’imprudenza di mescolarli, bisogna riservare loro un internamento speciale; internamento che non sarà medico, ma che deve essere la forma di assistenza più efficace e più dolce: “fra tutte le sventure che affliggono l’umanità, la follia è una di quelle che a maggior diritto impongono pietà e rispetto; alla follia è più che giusto siano prodigate molte cure; quando si dispera della guarigione, quanti modi restano ancora, quante attenzioni, quante buone cure che possono procurare a questi infelici almeno un’esistenza sopportabile!”. In questo testo lo statuto della follia appare nella sua ambiguità: bisogna a un tempo e proteggere dai suoi pericoli la popolazione internata e accordarle benefici di un’assistenza speciale.>>
Foucault Michel, 1976, Storia della follia nell’età classica, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, pag. 357.
<<Ma la follia di un atto si giudica proprio dal fatto che nessuna ragione può mai esaurirla. La verità della follia consiste in un automatismo senza concatenazione; e più un atto sarà privo di ragione, più risiederà nel determinismo della sua follia, essendo la verità della follia nell’uomo la verità di ciò che è senza ragione, di ciò che avviene, come diceva Pinel, “irriflessivamente, senza interesse e senza motivo”.
Poiché nella follia l’uomo scopre la sua verità, la guarigione è possibile a partire dalla sua verità e dal fondo stesso della sua follia.>>
Foucault Michel, 1976, Storia della follia nell’età classica, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, pag 446.
“amate l’architettura [...]: dove si avvicendano giorno e notte, sole e luna, sereno e nuvole, vento e pioggia, tempesta e neve: dove ci sono vita e morte, splendore e miseria, bontà e delitto, pace e guerra, creazione e distruzione, saggezza e follia, gioventù e vecchiaia: l’architettura crea lo scenario della Storia, al vero, parla tutti i linguaggi”
Gio Ponti, 1957, Amate l’Architettura, Società editrice Vitali e Ghianda , Genova.
L’architettura non ammette follia; nemmeno nella più angosciosa delle carceri piranesiane o nel più strampalato dei quadri di Escher le scale, i muri, i pavimenti possono sfuggire alle leggi ferree del disegno o della gravità. Una condanna alla ragione rende loro impossibile uscire di senno, avvinti come sono in una sequenza di successive fondatezze che dal cantiere alla rovina rende sempre spiegabile e logico ogni passaggio, anche quando ogni senso comune sembra perdersi nel collasso della forma.
La follia, al contrario, ha bisogno dell’architettura per scagliarsi contro i suoi muri, per contenere i suoi eccessi, per misurare la sua libertà e il suo dolore, la resistenza stessa dei corpi che la contengono, nella prigionia che ogni edificio, comunque, impone. Ne ha bisogno e la subisce, nelle stanze abbandonate di un vecchio manicomio che hanno contenuto mondi sconvolti e immaginari,
- costrizioni di cemento che si intrecciano a costrizioni mentali - e che oggi, dopo l’esodo umano, grondano il dolore rimasto e trasmettono l’eco di pazzie, condannate a ospitarle, a osservarle per anni fin quasi a desiderarle, ma a non poterle condividere.
Alberto Ferlenga.
La fotografa Yvonne De Rosa ritrae uno dei tanti luoghi ex manicomi in cui non vi era cura ma abbandono dei pazienti. Nelle sue foto “Crazy God” è la scritta su un muro di uno dei pazienti che ci ha vissuto, un silenzioso grido di ribellione e “sragione”. Il progetto presentato a Londra nel 2007, pluripremiato, ci regala memorie attraverso scatti in un edificio in cui la razionalizzazione degli spazi non aiutava la vita dei pazienti, unico momento all’aria aperta era nella corte centrale quadrata, a fine struttura una chiesa obitorio, ciclo di spazi freddi e angoscianti.
L’architettura dovrebbe essere funzionale e corretta, ha il dovere di proteggere e migliorare la vita delle persone fortunate, ma ha anche l’OBBLIGO di coadiuvare le terapie per i più deboli, soprattutto attraverso lo spazio. (s.c.)
This entry was posted on mercoledì, maggio 9th, 2012 at 18:31
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Posted in: Architecture, Photography